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Lettera all'amore dimenticato


Ti scriverò della dimenticanza che sale al muro mio d’ombra, del mio cuore morto per metà, sì, del mio cuore offeso da un uomo senza patria

e di una città di vetri e acqua che mi assomiglia, della stanza che aveva Turner sopra il porto delle sue marine piene di luce, di quanto ci siamo dimenticati di noi due la domenica, della primavera degli anemoni stanchi sotto il mare, delle navi per l’America e la fame dentro le stive. Ti scriverò delle luci dell’alba sul fiume, della città viste dai tram, dei miei giorni dell’abbandono, della pioggia che ha solcato i viali delle mie rughe scavando nella fatica delle mie ore a servire le case dei padroni, dei miei occhi di ragazza smemorata ti scriverò di come vedevano allora l’erba e gli allegri fiori. Ti scriverò degli anni pieni di paure, degli inganni, delle barricate e dei pugni in aria a sventolare la nostra intima ragione di libertà, degli scioperi degli operai, dei lunghi corpi di fabbriche vuote, dei centri sociali e della spaventata scuola Diaz, di Genova ti racconterò, di via del Campo e del poeta Fabrizio o caro. Sì, ti scriverò anche dei padroni fatti fuori, delle corde appese, della disperazione dei figli orfani, della rovina in cui bisogna sempre nuotare per non annegare, dei soldi sporchi, delle ragazze violentate su treni addormentati dalla morfina. Ti scriverò di come mia madre rivoltava la terra e delle sue mani di salvia e menta, della sua cucina nuda come un grano d’uva e del vino buono che mio padre teneva per Natale. Della resistenza che hanno le nuvole nei cieli partigiani ti scriverò, del fiato ubriaco che ha il vento sopra le colline, di quel Pavese morto giovane del suo perdono scritto in una camera d’albergo nel silenzio di una piazza d’agosto. Ti scriverò del fuoco sotto la montagna, di Napoli, di Erri, del ragazzino di Montedidio, e dello stesso sole che c’è nel sud della Spagna, di quel mio cane buono morto con la dignità di un uomo, dei boschi di licheni, della grande neve che ha visto Mario e di quella maledetta guerra che ha portato via i suoi uomini, Dei biscotti al pepe e cannella, del pane povero alle finestre di pioggia di Josef, di Praga e della rivoluzione, del mio paese che di nome fa Cavanella ti scriverò, delle cento stanze che ho arredato nei miei sogni e dei bambini che avrei voluto per sentirmi ridere la pelle e far felice sempre

il figlio mio solo.


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